È il 1952 e Mario, un bambino di otto anni, vive lungo le coste della penisola istriana. Il suo tempo si divide tra la scuola italiana e i racconti della bisnonna Mati, che parlano di un tempo lontano: delle due guerre mondiali, della vita nei campi, di una famiglia che cresce e si modifica. Quello che Mario ancora non sa, però, è che la sua vita è destinata a cambiare radicalmente. Dopo il dominio asburgico e poi fascista, l’Istria è infatti destinata a conoscere un’altra occupazione: quella della Jugoslavia di Tito. Per Mario inizia allora una nuova fase della vita. All’idillio di una vita rurale guidata dalle antiche tradizioni di famiglia si sostituisce quella del regime, fatta di regole e difficoltà.
Attraverso gli occhi di un bambino e la sua crescita negli anni dell’adolescenza, seguiamo la storia di un luogo, di un’epoca e di un popolo da sempre diviso in etnie e lingue differenti. Gli amici possono ora diventare acerrimi nemici, i vicini possono rivelarsi delle spie sempre pronte a tradire e anche i compagni di giochi possono sparire da un giorno all’altro senza lasciare niente dietro di sé. Proprio Mario diventa allora un simbolo di quel crogiuolo, trasformatosi poi in un incubo e infine in un esodo, che è stata la penisola Istriana nel corso del ’900.
Questo romanzo riesce così a racchiudere in sé tante nature. Un’autobiografia a tratti toccante. Una fotografia di eventi storici troppo spesso dimenticati. Una denuncia espressa a chiare lettere da parte di un popolo abbandonato a sé stesso. Ma soprattutto, il ricordo di una gioventù che ha lottato per ottenere il suo riscatto.
Originario dell’Istria, stabilitosi a Busto Arsizio, Mario Debernardi ha lavorato nel campo edile, meccanico e chimico. Vive a Lonate Pozzolo con la moglie. Ha due figli e cinque nipoti.
È il suo primo romanzo autobiografico.